Silvestro Lega

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Nato l’8 dicembre 1826 a Modigliana, in Romagna Toscana è una figura centrale nel panorama artistico italiano del XIX secolo e uno dei protagonisti, pur autonomi, del movimento dei Macchiaioli. Lega vide la luce in una famiglia segnata da differenze di origini: suo padre, Antonio Lega, aveva perso la prima moglie, lasciando dietro di sé nove figli, mentre Giacoma Mancini, proveniente da umili origini ma dotata di intelligenza e determinazione, lo crebbe con grande impegno nell’educazione. Nel 1838 il giovane Silvestro si iscrisse al Collegio dei Padri Scolopi di Modigliana, dove scoprì la sua passione per la pittura, un interesse che lo spinse a cercare ben presto un’alternativa allo studio accademico.

A soli diciassette anni si trasferì a Firenze, città vibrante dal punto di vista artistico, con l’intento di abbandonare le difficoltà familiari ed economiche. Inizialmente frequentò l’Accademia delle Belle Arti, dove consolidò le basi tecniche e superò il dilettantismo, ma ben presto si rese conto che l’approccio accademico risultava troppo rigido e limitante. Così, intorno al 1845, lasciò l’istituzione per seguire le lezioni private del purista Luigi Mussini, avviandosi verso uno stile che, pur rigoroso, cercava una maggiore sintesi tra disegno e colore.

Il fervore del Risorgimento ebbe un impatto profondo sulla vita e sull’arte di Lega. Ispirato dalle idee di Mazzini e dall’attivismo del prete don Giovanni Verità a Modigliana, si arruolò volontario nella guerra contro l’Austria, esperienza che rallentò la sua attività pittorica ma lasciò un segno indelebile nel suo spirito patriottico. Al ritorno dal fronte, pur continuando a cimentarsi in una pittura di stampo purista, Lega si rese conto dei limiti derivanti da una tecnica troppo incentrata sul disegno, motivo che lo portò a rivolgersi ad Antonio Ciseri, maestro realista che lo aiutò a perfezionare l’organizzazione compositiva e a dare nuova vita al colore.

Verso la fine degli anni Cinquanta, Firenze fu teatro di vivaci discussioni artistiche presso il Caffè Michelangiolo, luogo di ritrovo per artisti desiderosi di superare i canoni tradizionali. Qui nacque il gruppo dei Macchiaioli, i quali sperimentavano la pittura “en plein air” e l’uso di macchie di colore per riprodurre luci ed ombre. Pur riconoscendo in queste innovazioni spunti interessanti, Lega scelse di mantenersi distante dal gruppo, non gradendo l’eccessiva giocosità e l’imprevedibilità nelle rivendicazioni sulla libertà creativa.

Le tensioni con i Macchiaioli lo portarono a un periodo di crisi interiore, durante il quale si ritirò a Modigliana, dedicandosi a ritratti e alla riflessione sul suo percorso artistico, convinto che il suo stile potesse aver raggiunto un punto di saturazione. Il rinnovamento giunse nel 1859, quando, partecipando come artigliere alla seconda guerra d’indipendenza, tornò a Firenze con rinnovato entusiasmo. In seguito, si avvicinò nuovamente al circolo degli artisti del Caffè Michelangiolo, e grazie a concorsi in cui esprimeva episodi del Risorgimento, la sua arte conobbe un notevole balzo qualitativo. Stabilitosi nel quartiere di Santa Caterina, insieme a colleghi come Giovanni Fattori, Lega partecipò attivamente alle sessioni di pittura all’aperto a Piagentina, esperienza che lo entusiasmò e arricchì ulteriormente.

Un punto di svolta nella sua vita personale fu rappresentato dall’incontro con la famiglia Batelli. Durante una sessione “en plein air”, Lega si legò profondamente a loro e si innamorò di Virginia Batelli, la figlia maggiore, un’unione accolta con gioia. In questo periodo di relativa serenità, il pittore entrò in una fase particolarmente produttiva, realizzando opere che ancora oggi sono tra le sue più celebri, come “Il canto dello stornello” (1867) e “Il pergolato” (1868). In queste tele, scene domestiche e quotidiane vengono elevate a momenti di intensa poeticità, capaci di trasmettere la bellezza di una vita semplice e di rappresentare il passaggio dell’Italia da un contesto prevalentemente rurale verso l’avvicinarsi alla modernità.

In “Il canto dello stornello” si assiste a un’immagine familiare in cui tre donne, tra cui la stessa Virginia, sono immerse nel suono del pianoforte e del canto, con una luce che accarezza con delicatezza i dettagli degli abiti e dei volti. “Il pergolato”, originariamente intitolato “Un dopo pranzo”, ritrae una riunione femminile all’ombra di un pergolato, dove la cura per i particolari – dai vasi di piante disposti sul muretto alle ombre lunghe di un pomeriggio estivo, passando per i ciuffi di erba tra le mattonelle – conferisce all’opera un realismo vibrante e una sensazione di freschezza.

Purtroppo, la serenità venne meno nel 1870, quando la morte della moglie, vittima della tisi, insieme ad altri lutti nella famiglia Batelli, precipitò Lega in una profonda tristezza e in una nuova crisi artistica, aggravata anche dalle critiche di Telemaco Signorini, suo amico e collega. Fu solo dopo circa nove anni, grazie al sostegno di amici e appassionati, che il pittore riuscì a ritrovare la via della creatività, partecipando a nuove esposizioni e consolidando rapporti significativi, tra cui quello con il pittore Arnold Böcklin, ritratto dallo stesso Lega.

Negli ultimi anni della sua esistenza, nonostante le avversità, Lega visse in relativa serenità e continuò a dipingere, fino a morire il 21 settembre 1895 presso l’Ospedale di San Giovanni di Dio a Firenze. Le sue spoglie furono poi adibite a luogo di memoria nel cimitero di Modigliana, dove un busto realizzato da Cesare Fantacchiotti ne celebra ancora oggi il genio artistico.

Dal punto di vista stilistico, il percorso di Lega è caratterizzato da un’evoluzione che parte dal purismo, con rappresentazioni realistiche e un’attenzione maniacale al disegno – come in “L’incredulità di san Tommaso” (1851) e “David che calma i furori di Saul con l’arpa” (1852) –, per giungere, dopo l’esperienza militare e l’impegno risorgimentale, a opere impregnate di spirito patriottico e di ritratti eroici, tra cui il “Ritratto di Giuseppe Garibaldi” (1861). L’influenza dei Macchiaioli si fa poi sentire nella tecnica “en plein air” e nell’uso innovativo delle macchie di colore, pur mantenendo il tono pacato e intimista che contraddistingue le sue scene di vita quotidiana. Verso la fine della carriera, segnato dai dispiaceri personali, lo stile di Lega si fa più teso e frammentato – come evidenziato in “Contadinella sulla scala” (1887-1890) – esprimendo attraverso pennellate nervose e toni cupi la complessità interiore di un artista che, fino all’ultimo, cercò di interpretare la realtà con sincera profondità.

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