Beppe Ciardi
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Nato a Venezia il 18 marzo 1875, rappresenta una figura significativa della pittura veneziana e italiana dell’Ottocento e, dei primi del Novecento, capace di fondere la tradizione artistica familiare con le innovazioni stilistiche dell’epoca. Figlio del pittore Guglielmo Ciardi e di Linda Locatelli, Beppe fu sin da bambino immerso nell’arte.
Il nonno materno, Gian Francesco Locatelli, autore di raffinati ritratti classicheggianti, lo guidò nei primi passi creativi, anche se fu il padre a diventare il vero maestro.
Nei laboratori dello studio di S. Barnaba, ancora in tenera età, Beppe apprese i rudimenti della pittura, entrando in contatto con le tecniche e il gusto per la resa realistica che avrebbero caratterizzato la sua opera.
Nonostante inizialmente si fosse iscritto alla facoltà di scienze naturali dell’Università di Padova, la vocazione artistica si rivelò troppo forte per essere ignorata e, nel 1896, il giovane decise di frequentare l’Accademia Veneziana di Belle Arti, studiando figura con Ettore Tito. Già a diciannove anni, esibì un notevole talento esponendo sessanta studi dal vero al Castello Sforzesco di Milano, evento che preannunciava il successo della una carriera di un predestinato.
Nel 1899, Beppe Ciardi espose a Venezia il trittico “Terra in fiore“, opera che rifletteva un gusto artificioso ed essenzialmente decorativo, tipico dello stile “floreale” dell’epoca. In seguito, l’artista si fece notare anche per lavori in cui trasparivano le influenze dei maestri nordici, come “L’anima delle cose” (1901), oggi custodita in una collezione privata londinese, e per la serie dei “Silenzi notturni e crepuscolari”, composta da undici quadri. I dipinti furono presentati nel 1906 , all’esposizione organizzata dalla città di Milano , per celebrare l’apertura del valico del Sempione, in cui partecipò insieme al padre e alla sorella.
Queste opere, caratterizzate da un’atmosfera delicata e da una suggestiva capacità di trasmettere stati d’animo, anticipavano una sensibilità che andava oltre la mera riproduzione della realtà.
La vera ispirazione di Ciardi, tuttavia, si trovava nella contemplazione della natura e nella rappresentazione genuina della campagna. Egli dipingeva con una pennellata densa e costruttiva angoli autentici della campagna trevigiana, riuscendo a trasmettere le vibrazioni e l’energia della vita rurale. Opere come “Vacche all’abbeveratoio” (1905, esposta alla Galleria d’Arte Moderna di Venezia) e “La vacca bianca” (oggi nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma) sono esempi eloquenti della sua capacità di cogliere la realtà quotidiana con un tocco vibrante e intensamente poetico.
Inizialmente impegnato anche nella ritrattistica, Beppe Ciardi decise di abbandonare questo genere dopo che due suoi ritratti femminili vennero rifiutati alla Biennale veneziana del 1903, trovando nella pittura di paesaggi e vedute lagunari — seppur in numero minore — il suo linguaggio espressivo più autentico. La lunga amicizia con il critico e imprenditore Vittore Grubicy lo ha avvicinato alle innovazioni della tecnica divisionista e agli effetti luminosi tipici del luminismo, influenze che, integrate con la sua sensibilità personale, contribuirono a dare una nuova linfa alla sua opera.
Il percorso artistico di Ciardi fu costantemente valorizzato dalle istituzioni espositive. Nel 1912, un’intera sala della Biennale veneziana fu dedicata a quarantacinque tele che illustravano le varie fasi della sua evoluzione pittorica, confermando il riconoscimento ottenuto dal pubblico e dalla critica. L’anno successivo, nel 1913, all’esposizione di Monaco di Baviera, l’artista ottenne la medaglia d’oro, segno tangibile dell’apprezzamento internazionale per la sua arte.
Durante la Prima Guerra Mondiale, per un breve periodo, Ciardi servì come soldato, esperienza che, pur interrotta, non gli impedì di proseguire la sua attività artistica.
Beppe Ciardi trascorse la vita alternando il lavoro del pittore a quello dell’agricoltore, vivendo con la famiglia tra le dimore di Venezia, Canove d’Asiago e Quinto di Treviso. Questa duplice esistenza, divisa tra l’arte e la cura della terra, si rifletteva nella sua opera, in cui la genuinità dei paesaggi e la vita contadina assumevano una valenza quasi rituale.
Oltre a essere un protagonista delle Biennali, Ciardi si occupò anche di preservare e ordinare le opere del padre, affidando loro una sala specifica nella Galleria d’Arte Moderna di Venezia, gesto che testimonia il profondo legame familiare e l’importanza della tradizione artistica che lo aveva sempre accompagnato.
La carriera di Beppe Ciardi si concluse bruscamente: morì improvvisamente a Quinto di Treviso il 14 giugno 1932, lasciando un’eredità artistica ricca e variegata. La sua opera, che spazia da studi dal vero a intensi paesaggi rurali e vedute lagunari, continua a essere riconosciuta per la sua capacità di unire una tecnica raffinata a una sensibilità intrisa di luce e colore.
Nel 1952, a testimonianza della continua rilevanza del suo contributo artistico, presso la Galleria Giosi in via del Babuino a Roma fu organizzata una mostra dedicata ai suoi piccoli bozzetti a olio, riscoprendo e celebrando l’arte di un pittore che aveva saputo cogliere e trasmettere l’anima autentica della natura veneziana e trevigiana.




